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Le città del futuro: Florianópolis

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Le città del futuro: Florianópolis

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Matéria publicada no jornal italiano Corriere Dela Sera.

La chiamano “Isola della magia”, ma la magia c’entra poco. A Florianópolis ha fatto tutto la natura, regalandole spiagge all’altezza dei Caraibi. E in quantità: puoi restare in vacanza un mese e cambiarne un paio al giorno. L’effetto è grandioso ma un po’ straniante: è il Brasile, eppure quelli che incontri hanno fisionomie familiari; la qualità della vita è alta, la criminalità bassa. Floripa, nomignolo locale, non risponde a nessuno dei cliché sul Paese. Il mistero degli abitanti? Presto chiarito: il 45 per cento discende da immigrati italiani, il 35 da tedeschi, l’8 da portoghesi delle Azzorre (i primi colonizzatori), il 5 da polacchi. Ne resta un altro: come è riuscito questo gioiello a rimanere così a lungo sconosciuto?

«È a un’ora di volo da San Paolo ma, fino a vent’anni fa, appena il venti per cento dei paulisti sapeva che è la capitale dello Stato di Santa Catarina e si trova nel Sud Est. Figuriamoci all’estero» racconta Gustavo Kuerten detto Guga, n.1 del tennis mondiale nel 2000-2001. «Quando ho cominciato a giocare da professionista, nel ’95, nessuno ne aveva sentito parlare. “Vivi in un’isola? Da solo?” mi chiedevano». Ora – un po’ per via di Guga, un po’ perché le informazioni corrono veloci su internet – le cose sono cambiate. Mentre il Brasile fa l’asso pigliatutto, tra i mondiali di calcio del 2014 e le Olimpiadi del 2016, Floripa il suo trofeo l’ha già portato a casa nel maggio 2009, battendo la concorrenza di Parigi, Johannesburg, Shangai e ospitando il Summit annuale del World Travel & Tourism Council, l’organizzazione mondiale per lo sviluppo del turismo.

C’è voluto l’appoggio del presidente Lula per convincere i vertici a sceglierla: nessuno la conosceva e temevano non avesse strutture… Sono rimasti meravigliati dal potenziale» spiega Luiz Henrique da Silveira che, come governatore dello Stato (lo stesso in cui nacque Anita Garibaldi), si è speso parecchio per pubblicizzarla e renderla attraente anche per gli investitori. «La vocazione di Florianópolis è il turismo ma si è praticato quello “predatorio”: soltanto durante l’alta stagione, da capodanno a febbraio». Il piano di Luiz XV – soprannome dovuto alla grandiosità delle vedute – prevede: maggior offerta culturale (a Santa Catarina c’è l’unica succursale della scuola di ballo del Bolshoi di Mosca, oltre a 14 teatri) e diversificazione. Come gli investimenti nel campo delle tecnologie (un esempio: è stata creata qui l’urna elettorale elettronica, che scongiura brogli e garantisce risultati istantanei), tanto che qualcuno l’ha definita “una Silicon Valley sulla spiaggia”. Di strada c’è da percorrerne (solo l’11,9 per cento dei turisti arriva dall’estero, per dirne una), ma scommettere sul successo non è arrischiato. A Floripa incontri persone gentili, ti diverti, mangi bene (pure ostriche, di cui è uno dei massimi produttori mondiali) e spendi poco. Non sono ragioni sufficienti?

C’è pure la varietà di offerta: l’atmosfera è ancora abbastanza ruspante – il primo albergo di una catena internazionale, il Sofitel, è stato aperto nel 2006 – ma la zona di Jurerê, con i locali alla moda, soddisfa chi cerca nuove Saint-Tropez o Ibiza. Non a caso, i prezzi sono schizzati. «Jurerê è il metro quadrato più caro del Sudamerica» spiega il salernitano Attilio Colitti, proprietario dell’agenzia immobiliare Casa Florianopolis, dell’hotel Maratea e neo-viceconsole onorario d’Italia: un punto di riferimento per i connazionali nell’isola. «Conosco Jurerê da quando non c’era niente e sono favorevole alla trasformazione. Però bisogna pianificare bene affinché lo sviluppo non danneggi gli abitanti» mette in guardia Guga. «Per meritarsi il titolo di città del futuro non deve essere né lussuosa né glamour ma garantire la qualità della vita. E la tutela dell’ambiente». Giriamo la perplessità al governatore. «La sostenibilità ci sta a cuore: il 45 per cento del territorio è sotto tutela e ci sono leggi precise per regolamentare le costruzioni» assicura. «Il peggior virus non è l’influenza suina ma quello del pessimismo».

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